l Messaggio della Santa Casa
Il venerabile Raffaele Dimiccoli
mons. Sabino Lattanzio
Circa cento anni fa, esattamente il 30
luglio 1911, veniva consacrato sacerdote il servo di Dio mons. Angelo
Raffaele Dimiccoli, dell’arcidiocesi di Barletta, che da antica data
detiene il privilegio del titolo di Nazaret, in ricordo dei vescovi
nazaretani che dimorarono per secoli in questa città pugliese, in
seguito alla presa da parte dei Turchi dell’ultimo presidio crociato di
San Giovanni d’Acri. Questo non costituisce soltanto un particolare
storico per Barletta, chiamata anche “Civitas Mariae”, in quanto tutta
la spiritualità dei fedeli è impregnata di fede mariana. E a questa fede
sarà profondamente radicato fin da piccolo il nostro servo di Dio mons.
Dimiccoli, più volte pellegrino presso la Santa Casa di Loreto per
porre il suo sacerdozio e le anime a lui affidate nelle mani della Madre
Santissima Immacolata, la generosa fanciulla di Nazaret che in quel
luogo pronunciò il suo “Sì”, dando il via al mistero dell’Incarnazione
del Verbo, salvatore dell’umanità. Chi è, dunque, questo sacerdote
profondamente innamorato di Maria? Quali gli avvenimenti che hanno
contrassegnato la sua esistenza?
Don Raffaele,
nato a Barletta il 12 ottobre 1887, nel corso dei suoi circa
quarantacinque anni di ministero sacerdotale si è distinto soprattutto
per il servizio a favore dei più bisognosi materialmente e
spiritualmente. Per questo privilegiò uno dei quartieri più abbandonati
della città, fondando nel 1924 il “Nuovo Oratorio San Filippo Neri”, con
un’attenzione particolare all’educazione dei bambini e dei giovani. Per
venire incontro alle necessità di tutti si spogliò anche dei suoi beni
personali (l’ultimo atto di carità fu la donazione della casa natale
all’Ospedale Civile di Barletta). Nel gennaio 1934, nel descrivere le
attività che pullulavano all’interno dell’oratorio, così scriverà a una
delle sue prime collaboratrici, divenuta suora: «Vuoi conoscere qualche
cosa del nostro fracasso? A quello di prima aggiungi due anni di corsa
vertiginosa verso la meta. Le nostre manifestazioni si succedono in
tutte le forme, anche le più bizzarre. La rappresentazione natalizia con
tre bozzetti si è ripetuta tre volte: 1, 4, 6 gennaio. Domenica
prossima, 14 c.m., si darà il dramma “S. Cecilia”; dopo quindici giorni i
giovani daranno “Tempesta di anime”, poi “S. Lucia”, poi “Charitas
Christi urget”; poi S. Quaresima. Poi?… Domenico Savio, San Giuseppe e
finalmente la buona festa di san Giovanni Bosco che sarà canonizzato il
giorno di Pasqua a Roma e subito dopo acclamato e festeggiato nel nostro
nido. E poi? E poi maggio, e poi ecc…». E in un’altra lettera del 1932
alla medesima esclamerà meravigliato: «Chi lo crederebbe che in questo
posticino della città, remoto da ogni luce di civiltà e progresso umano,
debbano fremere tanti cuori in esplosione di vivere santa carità da
trasportarci in atmosfere celesti!!! Deo Gratias et Mariae!…». Il
segreto di tanta generosità e fecondità di questo umile e santo
sacerdote era riposto nella santa messa, da lui celebrata non come “una
pia abitudine mattutina, ma come un atto di fede e di adorazione
profonda”, nelle lunghe ore trascorse ai piedi del tabernacolo, nella
filiale devozione mariana e nel tempo incalcolabile che ogni giorno
dedicava al ministero delle confessioni e della direzione spirituale.
Egli era fermamente convinto che l’istanza propria di chi ama è che la
vita, nella sua interezza, sia orientata all’imitazione dell’Amato e che
questo fuoco d’amore si divampi all’esterno contagiando chi ci
circonda. Per questo divenne una calamita che attirò all’amore di Cristo
uno sterminato numero di fedeli, da lui chiamati “figli miei” e
divenuti, a loro volta, fermento evangelico in mezzo alla società. Dalla
numerosa schiera dei figli spirituali sorsero tante vocazioni
religiose e sacerdotali, tra cui emerge il sacerdote don Ruggero M.
Caputo (1907-1980), di cui è in corso il processo di beatificazione e
canonizzazione.
A riguardo della devozione
mariana, un adolescente che frequentava assiduamente il suo oratorio,
vedendo il servo di Dio sempre con la corona del rosario tra le mani, un
giorno gli chiese: “Don Raffaele, quanti rosari reciti al giorno?”. Il
servo di Dio, accarezzandolo teneramente, sviò il discorso dicendo: “Sei
troppo curioso! Gli atti di devozione non si contano, ci pensa la
Madonna stessa a contarli! E poi, le persone che si amano non si
stancano mai di ripetere all’Amata: ti voglio bene!”. La fama di santità
era già diffusa quando mons. Dimiccoli era in vita. San Pio da
Pietrelcina, a più barlettani che si recavano a San Giovanni Rotondo,
alludendo a don Dimiccoli, rivolgeva il rimprovero: “Perché venite a me
se a Barletta avete un santo?”. Il 27 giugno 2011 il sommo pontefice
Benedetto XVI, ricevendo in udienza privata il cardinale Angelo Amato,
prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha autorizzato la
promulgazione del decreto riguardante le virtù eroiche del servo di Dio
Angelo Raffaele Dimiccoli, che è diventato venerabile. Non finiremo mai
di ringraziare il Signore e la Madre Santissima che ci dona, lungo il
nostro percorso terreno, luminosi esempi di santità. Non mettiamoli in
bacheca, quasi fossero trofei di vittorie passate di cui vantarci! A noi
il compito di continuare questa catena di santità.