domenica 7 novembre 2010

Mons. Raffaele Dimiccoli testimone verace di carità


Chi dice “don Raffaele” dice “carità”. Questo santo sacerdote barlettano, pur di farsi prossimo soprattutto degli ultimi e dei più bisognosi, non si è risparmiato niente: né denaro, né carriera, tanto meno la salute. Per essi lasciò nel 1924 la prestigiosa parrocchia di San Giacomo Maggiore per riscattare dal degrado il periferico quartiere di zona “Maranco”, con la fondazione del “Nuovo Oratorio San Filippo Neri per la redenzione dell’infanzia abbandonata”. E già a pochi anni di distanza i “miracoli” ottenuti grazie alla sua ardita fede erano sotto gli occhi di tutti: dalle case dove prima si udiva cattiveria risuonavano i canti sacri insegnati dal “Direttore”. Alla sua scuola furono formate famiglie oneste e un gran numero di vocazioni sacerdotali e religiose.
Lo stesso Servo di Dio ne restava sempre più meravigliato per i risultati che otteneva: “Chi lo crederebbe - scrive nel 1932 ad Addolorata Rizzi, sua intima e stimata collaboratrice entrata tra le suore d’Ivrea, prendendo il nome di suor Pia Raffaella - che in questo posticino della città, remoto da ogni luce di civiltà e progresso umano, debbano fremere tanti cuori in esplosione di viva e santa carità da trasportarci in atmosfere celesti! Deo Gratias et Mariae! Si ha voglia a moltiplicare le distanze centinaia di chilometri, a moltiplicare mesi e mesi di lontananza, la carità vola e raccoglie in un continuo atto meraviglioso di presenza e vive... vive, mia cara, allorché sul quadrante del nostro Oratorio suonano certe ore, il Signore mi procura delle gioie inesprimibili: mi sento di essere un padre felice di una sì grande famiglia che quantunque abbia parecchi membri sparsi pel mondo hanno un medesimo palpito: Gesù; un medesimo ideale: l’Apostolato; una medesima corda: l’Unum di Gesù nell’ultima Cena”.
In questo quartiere povero e degradato il Servo di Dio, oltre a far crescere nella fede, si preoccupò di venire in aiuto anche economico a tante famiglie indigenti. Si prodigò, soprattutto, di togliere dalla strada migliaia di bambini e impartire loro gratuitamente l’istruzione scolastica, istituendo nel 1928, con sacrifici immani, la Casa degli Angeli e nel 1942 l’asilo infantile nei locali del Nuovo Oratorio San Filippo Neri, dove garantì perfino la refezione giornaliera.
Ma la sua carità fu continua e senza limiti; infatti nel 1948, nonostante le gravose ristrettezze economiche causate dal Secondo Conflitto Mondiale che ormai attanagliavano l’intero Paese, don Raffaele, già minato in salute, rivolse il suo sguardo principalmente agli orfani, dando inizio all’altra istituzione del “Villaggio del Fanciullo”.
Tutta la sua esistenza sacerdotale è costellata di episodi di carità fattiva e nel contempo “nascosta”, che hanno il sapore evangelico dei “Fioretti di san Francesco”, di cui ne sono depositari quelle tante famiglie che ancora conservano immutata riconoscenza e gratitudine nei confronti del nostro santo sacerdote. Dagli atti processuali, che supportano la sua santità, più testimoni affermano che era prassi per mons. Dimiccoli visitare gli ammalati per confortarli religiosamente. Dove notava situazioni di grande indigenza era solito porre sotto i guanciali le somme necessarie per l’acquisto dei farmaci.
Quell’attenzione particolare era rivolta in un modo così delicato che mai nessuno se ne accorgeva. Racconta il rogazionista Ruggiero Dicuonzo: “Un giorno i parenti di un ammalato, dopo che il Direttore era stato in casa, videro dei soldi per terra e, supponendo che fossero del “Direttore”, glieli portarono all’Oratorio. Ma lui affermò che non erano suoi e che tuttavia potevano utilizzarli per sovvenire alle loro necessità”.
Molte altre volte per l’esercizio della carità si serviva di suoi fidati collaboratori o collaboratrici. Apprendiamo da Rosa Piazzolla, una testimone diretta: “Mio marito era emigrato in Francia per ragioni di lavoro come muratore, dovendo procurare il cibo alla famiglia; lì, a causa di un incidente accaduto durante il lavoro, restò cieco. Cademmo nella miseria più nera. Il Direttore sapendo in che condizioni si stava versando non ci abbandonò, mantenendo la nostra famiglia composta da me, mio marito e quattro figli. Mensilmente ci passava una certa somma e quotidianamente tramite un ragazzo, con molta discrezione ci faceva pervenire in casa il cibo. Anche la sorella di don Raffaele più volte ha provveduto alle mie necessità. Mio marito disperato per le condizioni in cui si ritrovava, spesso veniva rasserenato dal Servo di Dio, il quale gli assicurava che gli sarebbe ritornata la vista. Infatti dopo due anni e mezzo mio marito riacquistò la vista e riprese a lavorare. Attribuimmo questa grazia alle preghiere del Direttore. La sua carità nel soccorrere la mia famiglia si protrasse per la durata di due anni e mezzo circa”.
In questa ardua e avventurosa missione verso gli ultimi e gli indigenti, don Dimiccoli fu spinto dalla principale sorgente che è lo stesso cuore di Cristo: “Sento compassione di tutta questa gente!” (Mt 15, 32). Gareggiò in quest’opera con i confratelli a lui contemporanei, totalmente dediti nel nostro territorio per il riscatto dei più bisognosi ed emarginati, con i quali strinse rapporti di fraternità e di stima. Si pensi al Servo di Dio don Pasquale Uva di Bisceglie, al Servo di Dio don Ambrogio Grittani, impegnato a favore dei poveri della città di Molfetta, e ai suoi amici d’infanzia, mons. Sabino Cassatella, fondatore dell’Istituto Santa Teresa del Bambin Gesù, istituzione voluta a vantaggio dei piccoli del rione Borgovilla di Barletta, e mons. Potito Cavaliere, apostolo di carità nell’ambito della parrocchia di Maria Santissima Addolorata e dell’ospizio per anziani, fondati dal medesimo in Margherita di Savoia.
In merito a don Uva ricaviamo da una testimonianza di Nicola Rizzi, pronipote di mons. Dimiccoli: “Don Raffaele conservava forti rapporti di amicizia col Servo di Dio don Pasquale Uva, fondatore della Casa della Divina Provvidenza di Bisceglie, spesso si scambiavano le visite: lui a Bisceglie, don Pasquale a Barletta, per ragguagli personali e per scambi spirituali. Spesso don Raffaele inviava portatori di handicap perché don Uva si prendesse cura di loro nella sua Istituzione. La stima era tale che non si estinse mai.
In fondo i due sacerdoti furono animati dallo stesso ideale: servire Cristo nei poveri e negli emarginati”. I santi hanno fiuto e sanno ben scegliere, orientandosi verso il bene, e questo grazie anche all’edificazione reciproca. Il Santo Padre Benedetto XVI, nell’aprile scorso, rivolgendosi ai giovani e ai seminaristi presso il Seminario di St. Joseph a New York ha indicato alcune figure di santi, beati e venerabili che hanno risposto “alla chiamata di Dio ad una vita di carità”, divenendo “straordinari tragitti di speranza”.
Indicandoli quali esempi alle nuove generazioni ha affermato: “a quanti giovani è stata offerta una mano che, nel nome della libertà o dell’esperienza, li ha guidati all’assuefazione agli stupefacenti, alla confusione morale o intellettuale, alla violenza, alla perdita del rispetto per se stessi, anzi alla disperazione e così, tragicamente, al suicidio? Cari amici, la verità non è un’imposizione. Né è semplicemente un insieme di regole. È la scoperta di Uno che non ci tradisce mai; di Uno del quale possiamo sempre fidarci.
Nel cercare la verità arriviamo a vivere in base alla fede perché, in definitiva, la verità è una persona: Gesù Cristo. È questa la ragione per cui l’autentica libertà non è una scelta di ‘disimpegno da’. È una scelta di ‘impegno per’; niente di meno che uscire da se stessi e permettere di venire coinvolti nell’ ‘essere per gli altri’ di Cristo”.
Sappiamo seguire e imitare l’esempio di questi nostri fratelli che ci hanno preceduto sulla via della santità, per amare e servire con generosità Gesù in ciascuno di loro, e un giorno saranno questi a prenderci per mano e a introdurci in quel Regno di amore e di pace che non avrà mai fine.

Don Sabino Lattanzio


TESTO E IMMAGINI TRATTE DA: www.dioeifratelli.it

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